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RhoTerritorio

Rho, in Municipio i parenti degli IMI rhodensi che hanno ricevuto la medaglia in Prefettura

C'è la possibilità di ricordare un proprio congiunto, Internato Militare Italiano (I.M.I.) nei Lager nazisti dopo l'8 settembre 1943, con una piccola lapide in marmo nel pronao del Tempio Nazionale dell'Internato Ignoto

10 Novembre 2025
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Il 20 settembre scorso in Prefettura sono state consegnate alcune medaglie alla memoria di Internati Militari. Tra i premiati anche alcuni rhodensi. Il 28 ottobre il Sindaco di Rho Andrea Orlandi, con il vicesindaco Maria Rita Vergani, da sempre impegnati nella valorizzazione della memoria cittadina, hanno voluto incontrare i familiari degli IMI per ascoltare i loro racconti e valorizzare la scelta compiuta da chi, dopo l’8 settembre 1943, non ha accettato di entrare nella Repubblica di Salò e ha pagato a caro prezzo il proprio amore per la libertà e la democrazia. Accanto alle istituzioni, nell’incontro organizzato da Paola Cupetti dell’Ufficio Cerimoniale, erano presenti Mario Anzani, presidente di ANPI Rho e autore di un volumetto sugli IMI rhodensi, e Carmen Meloni, vicepresidente di ANED Milano.

Il silenzio su quanto vissuto ha accomunato tutti i protagonisti al ritorno dalla prigionia. “Mio padre Alfonso – ha raccontato Dario Maesani (presente con la moglie Lorena, il figlio Diego e il nipote Marco), che ha ricevuto la medaglia per il genitore alcuni anni fa e ha fatto incidere il nome al tempio di Padova – non ha mai detto una parola su questa vicenda, ho ricostruito la cronologia del suo vissuto attraverso il foglio matricolare. Aveva fatto il CAR in Piemonte nel primo reggimento artiglieria a Casale Monferrato ed era stato inviato in Francia. Sappiamo che si trovava a Cannes il 9 settembre 1943, è stato catturato e tenuto prigioniero. Lo abbiamo “portato a casa” nel 2018, ora tocca ad altri ritrovare la propria storia, finora ignorata. Al ritorno dalla prigionia non ottennero nessun ringraziamento, nemmeno un benvenuto, se non dai familiari. Ora voi che ci avete invitato in Municipio state dicendo ai nostri genitori “bentornati nella nostra comunità” e per noi è davvero prezioso”.

Angelo e Lucia Rimoldi hanno parlato del padre Giovanni. “Raccontò ben poco in famiglia, era difficile farlo parlare della guerra, non voleva evocare quel periodo – ha detto Angelo Rimoldi – Lui era stato inviato in Grecia e da lì venne deportato in Germania. Conservò la gavetta decorata con la punta della baionetta e con il filo spinato. Aveva inciso il nome della ragazza che amava, nostra mamma. Questa iniziativa del Comune ci è molto gradita, un peccato che si sia arrivati soltanto adesso a recuperare queste vicende. Sarebbe stato bello per papà ottenere un riconoscimento in vita, avrei voluto che potesse ritirare lui questa medaglia. Quando si visitano i campi di concentramento e sterminio tutto pare surreale, non possiamo immaginare realmente quel che è stato, testimoni come Liliana Segre sono fonti di memoria uniche”. La sorella Lucia ha aggiunto: “Ho studiato la seconda guerra mondiale a scuola, nulla più. Conoscere le storie dei protagonisti permette di andare oltre quanto veniva scritto sui libri di storia 50 anni fa. Immagino come potessero sentirsi ragazzi di vent’anni che dicevano no al fascismo e venivano deportati senza sapere nemmeno dove sarebbero finiti. Mio padre ha patito la fame, altri, come suo fratello, che venne deportato in Germania, per fortuna vissero in condizioni migliori”.

Angelo Carnovali, presente con la moglie Arianna e il figlio Matteo, ha parlato del padre Mario, classe 1915: “Un giorno sono stato per caso a Dachau, eravamo lì vicino con amici del calcetto e siamo andati a visitare il campo. Quando siamo usciti eravamo persone diverse. Non si può dimenticare. Mio padre era in Croazia, venne richiamato al quartier generale a Torino per recuperare bende e medicine per i feriti. Passò da Rho per salutare la famiglia. Avvenne l’armistizio: poteva scappare, ma il senso del dovere e il legame con i commilitoni lo hanno spinto a tornare al fronte. Appena arrivato gli chiesero se volesse continuare a combattere con il fascismo, disse di no. Fu deportato in Austria. Nel viaggio, che fu terribile, per la tensione perse i capelli. So che non avevano cibo e che lui riuscì a trovare qualcosa per sé e per altri: l’unico che ho conosciuto mi ha detto che senza di lui sarebbero tutti morti. Quando tornò si mise a fare il calzolaio e si sposò, io sono nato nel 1960, ma ho due sorelle più grandi una delle quali era tra i bambini sequestrati a Terrazzano nel 1956”.

Presenti anche i parenti di Eugenio Colombo: la figlia Giovanna, il marito Paolo Zappa, con il loro figlio Stefano Zappa e i pronipoti Tecla e Jacopo. C’era anche Nadia, moglie di Matteo Zappa, nipote di Eugenio, con la propria figlia Elisa. Questo il ricordo rivelato: “Anche papà Eugenio non raccontava. Mamma ci disse che aveva lavorato nei campi, durante la prigionia, e con altri nascondeva le patate più piccole per mangiare, crude. Era un Alpino e lavorò poi nel reparto infermieristico. Aveva un carattere chiuso, voleva cancellare quel periodo dalla mente. Mio figlio Stefano, innamorato del nonno, si è fatto tatuare sul braccio foto della seconda Guerra Mondiale e il nonno in divisa da alpino. Inoltre ha compiuto alcune ricerche per saperne di più”.

Maria Pia Re, con Giovanna Albani rappresentante per ANEI Milano, ha raccontato del padre Angelo, nato e vissuto a Rho, tenendo stretta la sua foto e la sua medaglia: “Era stato bersagliere, fu richiamato nel 1941 a 30 anni. Fu catturato in area balcanica il 10 settembre 1943 e deportato. Fu trattenuto dagli Alleati dopo la Liberazione, arrivò a casa nell’ottobre 1945 e fu congedato in dicembre. Portò a casa anche lui la gavetta che usavano per scodellare la brodaglia del pranzo. Quando arrivò scoprì che padre e sorella erano morti, coi risparmi comprò un paio di scarpe per sposarsi. Una volta sola provò a raccontare la prigionia, ma si sentì male: soffriva troppo. Noi eravamo più giovani e non così attenti come oggi alla memoria, lasciammo perdere. La medaglia è stata occasione per compiere ricerche: fu nello stalad III B a Fürstenberg sull’Oder, vicino al confine polacco, usato come manodopera per l’industria, poi venne spostato in un altro campo. Però la medaglia ha generato anche amarezza: c’era il Covid nel 2020, ce l’hanno spedita, è mancato un vero incontro. Ringrazio il Comune di Rho per la sua attenzione”.

Giovanna Albani ha spiegato come ANEI sia stata fondata dopo la guerra dai reduci di Torino, a Milano è rinata nel 2024, dopo la scomparsa di alcuni reduci. Marco Brando ne è presidente. Luciano Belli Paci, figlio della senatrice Liliana Segre e Alfredo Belli Paci, è il vicepresidente. A Rho ANEI ha preso parte il 25 aprile 2024 alle celebrazioni per la Liberazione.

Mario Anzani ha consegnato a ogni famiglia copie dell’opuscolo sugli IMI presentato l’8 settembre 2024: “Queste vicende sono rimaste troppo a lungo nell’oblio, invece 600mila militari italiani si trovarono allo sbando. Hitler stesso li definì internati militari per non applicare la convenzione di Ginevra che vietava il lavoro coatto. Hanno detto no al patto di Salò, sono partigiani di un’altra resistenza, senza fucile. Anzi, il fucile era puntato su di loro. Abbiamo recuperato 50 storie di IMI rhodensi e il Diario di Dante Restelli è per tutti fonte di informazioni su quanto abbiano patito. Nel maggio 2026 andremo a Padova, al Museo che ricorda tutti gli IMI per rendere loro omaggio”.

Per il prossimo 20 settembre l’opuscolo verrà aggiornato con gli ultimi nomi emersi di recente.

Carmen Meloni da quattro anni e mezzo lavora con le scuole per tramandare la memoria dei deportati: “Tra i ragazzi ho incontrato curiosità, voglia di sapere quel che non è scritto nei testi scolastici. Dobbiamo imparare a usare il loro linguaggio e non è facile, ma sono attenti. Purtroppo la prima generazione non ha parlato dell’orrore vissuto, tocca a noi continuare questo percorso di memoria senza ritrosie”.

C’è la possibilità di ricordare un proprio congiunto, Internato Militare Italiano (I.M.I.) nei Lager nazisti dopo l’8 settembre 1943, con una piccola lapide in marmo che sarà collocata nel pronao del Tempio Nazionale dell’Internato Ignoto

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