Giovanni Armando Costa interviene sul tema dell’accumulo compulsivo.
Come definirebbe il disturbo di accumulo?
L’acquisizione di beni e l’incapacità di liberarsene, anche se inutili o di scarso valore. Gli individui che hanno questo disturbo tendono ad accumulare oggetti, fino a costringersi a vivere in condizioni inadeguate e ciò può presentare un rischio per loro e per la società che li circonda a causa della presenza di infestanti e di condizioni igieniche precarie (trasmissione di malattie infettive), possibili incendi e pericoli di cedimenti strutturali.
Lei è un tecnico della prevenzione ormai da molti anni. Secondo la sua esperienza sono aumentati i casi di questo tipo?
Opero sul territorio di Milano da quasi trent’anni e da almeno 15 mi occupo anche di accumulo compulsivo e degrado abitativo ed in tutti questi anni ho potuto osservare come il fenomeno nasce cresce e si moltiplica. Non fa differenza tra i generi nel senso che interessa sia gli uomini che le donne, non fa differenza tra i ceti sociali poiché interessa sia i poveri che i benestanti, non fa differenza tra chi vive in alloggi popolari e chi invece abita comode e confortevoli ville.
Certamente si accumula in base allo spazio che si ha a disposizione.
Se si abita in un monolocale si riempirà tutto il monolocale e se si abita in una villa verrà riempita la villa.
La tipologia delle cose accumulate dipende dal livello economico dell’accumulatore seriale:
se ha disponibilità economiche accumulerà acquistando oggetti e se disponibilità economica non ne ha accaparrerà gli oggetti che trova in giro, per la strada, nei centri di aiuto come la Caritas, o addirittura recuperando gli oggetti che i cittadini buttano nei depositi rifiuti e negli immondezzai.
I luoghi dove vengono recuperati gli oggetti fa la differenza nel senso che se vengono comprati si presuppone siano abbastanza puliti mentre se raccolti negli immondezzai saranno probabilmente già contaminati da sporco e parassiti e quindi le condizioni igieniche dell’alloggio saranno molto presto compromesse.
Qual è il caso più grave di cui si è occupato?
Ci sono stati dei casi in cui l’accumulatore è stato trovato in casa deceduto tra i suoi rifiuti. Questi sono stati gli interventi più drammatici. Tre volte mi è capitato nel corso di questi anni di avere a che fare con dei cadaveri, due donne ed un uomo trovati deceduti nelle loro case, tra i loro rifiuti e sicuramente sono situazioni che fanno stare male. In questi casi c’è poi tutto il seguito che ne deriva ovvero allerta di polizia e carabinieri, intervento del medico legale, rilascio di dichiarazioni ed informazioni testimoniali
Queste situazioni sono pericolose per l’ordine pubblico?
Io non ho mai conosciuto un accumulatore seriale pericoloso ovvero che mi abbia usato violenza. E’ gente stanca, sfinita, forse anche per il lavoro che l’accumulo in casa comporta: non c’è più un posto comodo per cucinare, per mangiare, per lavarsi, per dormire, proprio perché tutto è invaso dagli oggetti. Il pericolo semmai è determinato dal troppo sporco, dagli odori sgradevoli, dalle infestazioni di scarafaggi ed insetti vari, dal pericolo di incendio che si può sviluppare in queste case ridotte a magazzini e che spesso si verifica come ci annunciano gli episodi di cronaca che spesso leggiamo sui giornali.
Poi, non potersi lavare può voler dire uscire di casa con le mani sporche, con i vestiti contaminati e tutto ciò che lo sporco in casa può determinare quindi l’accumulatore può veicolare infestanti e microbi in giro, sui mezzi pubblici o sui luoghi di lavoro
Secondo lei cosa può aiutare veramente queste persone?
La segnalazione agli enti competenti. La segnalazione è il primo aiuto che possiamo dare all’accumulatore.
Enti competenti (forze di polizia, servizi sociali, centri per la salute mentale, ASL, uffici di igiene) con tutte le figure professionali di cui dispongono (medici, assistenti sociali, agenti ed ufficiali di polizia, assistenti sanitarie, tecnici della prevenzione, impiegati vari) che poi è bene lavorino in rete, insieme, perché più figure professionali sono coinvolte, più enti sono coinvolti più efficaci saranno gli interventi.
Giovanni Armando Costa, tecnico della prevenzione
