La convivenza coatta imposta dalla pandemia causa Covid-19 può aver costituito un potenziale elemento di crisi per alcune coppie.
Prima dell’avvento della pandemia il tempo che le coppie trascorrevano insieme era limitato: l’assenza di spazi e tempi propri può aver fatto maturare la consapevolezza che la relazione sia giunta al termine.
La convivenza forzata potrebbe aver, infatti, messo in luce delle criticità di cui i partner non erano totalmente consapevoli.
Le coppie unite dal vincolo di matrimonio potrebbero determinarsi a separarsi. Se uno dei coniugi ha tenuto un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio, per esempio ha tradito, a quest’ultimo può essere addebitata la separazione.
Per ottenere l’addebito della separazione, però, non è sufficiente che il coniuge abbia violato i doveri di fedeltà e di coabitazione.
“La pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 Cod. Civ. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale” (Cass. Civ. n. 13591 del 28 maggio 2019). Sul punto ha di recente precisato la Suprema Corte di Cassazione.
“Non basta provare che il coniuge abbia tradito: è necessario provare che proprio la scoperta del tradimento ha determinato una intollerabilità della vita matrimoniale, fino a quel momento serena”. Precisano gli Avvocati Alessandra Giordano ed Elena Laura Bini titolari della Studio Legale Lambrate.
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