Determinata, autonoma, appassionata. Antonella Vallerini è consulente del lavoro, mamma di due figli ormai grandi, moglie, padrona di gatti e amante della natura. Ha costruito la sua professione giorno dopo giorno, partendo da un’infanzia tra bolle e fatture, passando per il dolore di un lutto profondo, fino a trovare – con coraggio e dedizione – un equilibrio tra famiglia, lavoro e sé stessa. Ecco cosa ci ha raccontato.
Antonella, cominciamo dall’inizio. Da dove parte il tuo percorso?
Dalla terza media. Mio padre, artigiano, mi affiancava già al suo ragioniere: la mattina scuola, il pomeriggio bolle, fatture, telefonate. Sono cresciuta con l’idea che si lavora per “portare a casa la pagnotta”. Dopo il diploma in ragioneria volevo iscrivermi all’università, ma per i miei era tempo perso. Ho cominciato a lavorare e a studiare giurisprudenza nei ritagli di tempo, pagandomi i libri da sola con quello che guadagnavo.
Ma poi arriva un momento difficile, che cambia tutto.
Sì. Avevo già finito gli esami in Giurisprudenza, metà della tesi fatta. Ma nel 1994 mio fratello ha avuto un incidente stradale mortale. Ero distrutta. Mi sono chiusa in un bozzolo. I miei erano nel proprio dolore, non ci parlavamo quasi più. È stato un amico a spronarmi a riprendere gli studi. Il mio professore mi aveva tenuto da parte il titolo e nel dicembre 1995 mi sono laureata. Mio papà era lì, alla dissertazione.
Quando inizi davvero a lavorare come consulente del lavoro?
Faccio la pratica e poi inizio una collaborazione con un collega laureato in economia. Ci dividiamo i clienti: lui contabilità, io consulenza del lavoro. Dopo qualche anno lui decide di aprire per conto suo e porta via quasi tutti i clienti. Rimango sola. Decido di fare la dipendente. È in quel periodo che apro un conto in banca, e lì accade qualcosa di decisivo.
Cos’è successo?
L’impiegato della banca, saputo che ero consulente del lavoro, mi segnala un commercialista interessato a creare uno studio con diversi professionisti, quella che oggi chiameremmo rete d’imprese. Esco dalla banca e mi chiama. Faccio il colloquio e inizio con lui a Gallarate. In poco tempo cresco, assumo prima una, poi due dipendenti. Grazie a passaparola e networking il mio studio si amplia, sempre in equilibrio con la mia vita familiare.
Hai dato priorità alla famiglia?
Sì, sempre. Prima la mia famiglia, poi il lavoro. Sono diventata mamma, prima di una bambina, poi dopo 4 anni di un maschietto. Nessuna baby sitter, mi aiutava mia madre, ma me li sono goduti. Ho partecipato alle attività scolastiche anche quando significava andare alla recita il pomeriggio e lavorare di notte. Ogni anno facciamo ancora un viaggio insieme. Sono contenta di quello che ho costruito: ho la mia autonomia, il mio tempo, la mia vita.
Hai attraversato anche momenti molto difficili dal punto di vista della salute.
Dal 2018 al 2023 sono stata in dialisi: attaccavo la sera, staccavo la mattina. Poi ho fatto il trapianto di rene. Dopo 12 giorni ero già a casa, e dopo altri 12 ho ricominciato a lavorare. È stato durissimo, ma con coraggio ho superato anche questa. I miei genitori non mi hanno mai detto “Brava”, ma io so quello che ho fatto. E oggi, a 56 anni, lavoro con equilibrio.
Come riesci a tenere tutto in equilibrio?
Ora riesco a prendermi il mio tempo. Gli appuntamenti li fisso con attenzione. Ma è la voglia di ritrovarci insieme che ci aiuta: mio marito è ingegnere e lavora con me nello studio. A volte, per staccare, andiamo a mangiare una piadina tutti insieme con i figli, non c’è sempre un grande pranzo cucinato in casa, ma c’è l’occasione per stare insieme. Certo qualche rinuncia si fa: io ero sportiva ma l’ho dovuto abbandonare, però va bene così.
Essere donna in questo lavoro: una sfida?
Sì, lo è ancora. Gli uomini sono considerati più autorevoli. A volte un cliente mi chiede un parere, poi chiama un collega per sentirselo dire da lui. Glielo avevo detto uguale. A parità di professionalità, c’è ancora più rispetto per l’uomo rispetto alla donna. Ma io faccio il mio. Oggi do spazio anche a me stessa. Quando sei giovane vuoi accontentare tutti. A un certo punto capisci che devi esserci tu, al centro.
E oggi, cosa ti fa sentire bene?
Avere la mia autonomia, i miei tempi, la mia famiglia. I miei figli si stanno laureando. A casa abbiamo gatti – un Maine Coon e un British – e un riccio che abbiamo salvato e portato al centro di recupero. Siamo molto sensibili agli animali e alla natura. Oggi ho un buon equilibrio. Forse ci sono stati momenti di fortuna, ma anche tanto impegno. E quello, non me lo toglie nessuno.




