Ricordi il momento esatto in cui hai capito che la musica sarebbe stata la tua strada?
La musica è sempre stata con me, fin da quando ero piccola. Era la mia compagna nei momenti più difficili, il mio rifugio, la mia forza. Se dovessi identificare un momento, forse potrei dire che è stato quando ho preso un ingaggio ancor prima di avere un progetto tanta era la voglia di mettermi in gioco. x del pubblico e nelle parole di figure importanti del panorama musicale: sentirmi dire «Sono orgoglioso di te» da chi stimo è stato un sigillo su un percorso che, in fondo, era iniziato da sempre.
C’è una canzone, tua o di altri, che senti come il riflesso perfetto del tuo percorso?
Ogni canzone che amo racconta un pezzo della mia storia, perché la vita è fatta di pagine e colori, e le canzoni sono quei colori. Sono una songwriter, e questa sensibilità la metto nei miei brani. Come “From your lips to God’s ears (the Wayne song)”, che ho scritto come omaggio a Wayne Vaughn, tastierista e produttore degli Earth Wind and Fire, The Brothers Johnson, una persona fondamentale nella mia vita. Veniamo da mondi diversi, ma abbiamo un legame profondo. Nei miei viaggi a Los Angeles ho condiviso tanto con lui e la sua famiglia, e in pandemia, lui è stato la mia spinta creativa. Questa canzone è un inno alla speranza, al potere delle parole, alle serate in salotto piene di musica e profumi. È funk, allegra, carica di energia, come l’esperienza che ho vissuto. Ogni volta che la canto, mi ricarica e mi ricorda che c’è sempre ancora qualcosa da vivere.
Qual è la parte più vulnerabile che ti capita di mettere in gioco quando canti?
Metto in gioco tutta me stessa soprattutto la mia sensibilità che, si sa, è una lama a doppio taglio: mi permette di arrivare al cuore delle persone, ma mi espone anche a ferite profonde.
Quando sono innamorata – di una persona, di un progetto, di un’idea – dedico tutta me stessa, spalanco i cancelli e resto indifesa. In passato, sì, mi hanno ferita ma ho imparato a rialzarmi e a convivere con le cicatrici. Cantare per me è anche questo: dare voce alle ferite trasformandole in forza. Ed è forse per questo che il pubblico spesso si riconosce in me: l’autenticità.
Hai mai avuto paura di non farcela? Come hai affrontato quei momenti?
Da bambina, avevo poca fiducia in me stessa, ma i primi palchi mi hanno aiutata a forgiare il mio carattere. In passato, di fronte alla paura, restavo immobile. Poi ho imparato che cantare e vivere sono due lati della stessa medaglia. E ho deciso di mettermi in gioco. Il mio percorso personale e quello artistico si intrecciano: non sarei l’artista che sono oggi senza la mia evoluzione come persona. È importante imparare a distinguere tra la paura che ci protegge dal pericolo e la paura che ci limita nei nostri intenti. Oggi, vedo la paura come un’opportunità perché imparare a gestirla ci permette di espandere i nostri confini.
Nel tuo lavoro come vocal trainer, qual è la prima cosa che cerchi di far emergere in una persona?
La sua identità. Io accompagno le persone in un percorso di riscoperta: le aiuto a trovare la loro voce, che spesso non conoscono affatto. A volte, a metà percorso, arrivano le lacrime: di gioia, di liberazione. Ed è lì che capisco che ho fatto bene il mio lavoro. Per me insegnare canto è aiutare qualcuno a stare bene nel proprio corpo.
Che tipo di rapporto costruisci con chi si affida a te per imparare a usare la propria voce?
Un rapporto di fiducia. Voglio essere una guida. Per questo mi metto accanto a loro, per essere pronta ad afferrarli se inciampano. Credo che la fiducia sia fondamentale in questo percorso, poiché i miei allievi devono imparare a fidarsi di se stessi prima di tutto. Il mio compito è accompagnarli nel loro viaggio di scoperta e crescita. Cantare è come scolpire: togli ciò che non serve, fino a trovare l’essenza.
A breve la tua vita cambierà: ti attende un volo per gli USA?
Sì, parto il 18 giugno. Vado a Los Angeles. Ho ottenuto il visto O-1B, che mi permetterà di lavorare come cantante negli Stati Uniti. È un progetto di vita, non solo lavorativo. Ho bisogno di immergermi nel soul, nel funk nel jazz. Voglio respirare quella musica, viverla.
Ho vissuto recentemente un periodo difficile, ma a gennaio 2025 ho pubblicato il mio singolo “Run away” (su creativeplayers.my.canva.site/dea-lazzari, info su solo.to/ericadelazzari) grazie al mio produttore Fabio Mereghetti conosciuto anche come “Fab Merret” con cui ho realizzato anche il videoclip girato a Los Angeles. Da qui ho ritrovato l’energia ed è cominciata la mia rinascita. Questo viaggio è il modo migliore per riconnettere corpo e mente. È un progetto che ho sempre desiderato, e finalmente ora ci siamo. Ho paura, certo. Ma è una paura bella, piena di adrenalina e consapevolezza.
Cosa desideri oggi che magari non osavi desiderare qualche anno fa?
Oggi sono una donna consapevole. Ho imparato che il più delle volte è la paura di non farcela a tracciare i nostri limiti. Quello che desidero ora è scrivere, pubblicare e promuovere le mie canzoni. Come artista, ho raggiunto il punto in cui non ho il timore di esprimermi: ho cantato con Stevie Wonder, se avessi avuto paura, non ce l’avrei fatta.
Credi che l’essere donna abbia dato un valore aggiunto alla tua esperienza?
Credo che noi donne siamo dotate di tanta determinazione che ci pone degli obiettivi, grande coraggio che ci porta a raggiungerli e soprattutto una sensibilità unica che ci permette di cogliere sfumature ed emozioni che forse gli uomini non percepiscono allo stesso modo. Questa sensibilità è la forza che ci fa essere creative, empatiche e autentiche. L’essere donna ha sicuramente influito sul mio percorso perché mi ha dato una visione più ricca e sfaccettata del mondo.

Ogni canzone che amo racconta un pezzo della mia storia, perché la vita è fatta di pagine e colori, e le canzoni sono quei colori. Sono una songwriter, e questa sensibilità la metto nei miei brani. Come “From your lips to God’s ears (the Wayne song)”, che ho scritto come omaggio a Wayne Vaughn, tastierista e produttore degli Earth Wind and Fire, The Brothers Johnson, una persona fondamentale nella mia vita. Veniamo da mondi diversi, ma abbiamo un legame profondo. Nei miei viaggi a Los Angeles ho condiviso tanto con lui e la sua famiglia, e in pandemia, lui è stato la mia spinta creativa. Questa canzone è un inno alla speranza, al potere delle parole, alle serate in salotto piene di musica e profumi. È funk, allegra, carica di energia, come l’esperienza che ho vissuto. Ogni volta che la canto, mi ricarica e mi ricorda che c’è sempre ancora qualcosa da vivere.
Da bambina, avevo poca fiducia in me stessa, ma i primi palchi mi hanno aiutata a forgiare il mio carattere. In passato, di fronte alla paura, restavo immobile. Poi ho imparato che cantare e vivere sono due lati della stessa medaglia. E ho deciso di mettermi in gioco. Il mio percorso personale e quello artistico si intrecciano: non sarei l’artista che sono oggi senza la mia evoluzione come persona. È importante imparare a distinguere tra la paura che ci protegge dal pericolo e la paura che ci limita nei nostri intenti. Oggi, vedo la paura come un’opportunità perché imparare a gestirla ci permette di espandere i nostri confini.
Sì, parto il 18 giugno. Vado a Los Angeles. Ho ottenuto il visto O-1B, che mi permetterà di lavorare come cantante negli Stati Uniti. È un progetto di vita, non solo lavorativo. Ho bisogno di immergermi nel soul, nel funk nel jazz. Voglio respirare quella musica, viverla.
Credo che noi donne siamo dotate di tanta determinazione che ci pone degli obiettivi, grande coraggio che ci porta a raggiungerli e soprattutto una sensibilità unica che ci permette di cogliere sfumature ed emozioni che forse gli uomini non percepiscono allo stesso modo. Questa sensibilità è la forza che ci fa essere creative, empatiche e autentiche. L’essere donna ha sicuramente influito sul mio percorso perché mi ha dato una visione più ricca e sfaccettata del mondo.