Come è nato il tuo percorso nel mondo della ristorazione e del catering?
Il mio percorso è iniziato in modo un po’ diverso dal tradizionale. Avevo una società con altre persone e gestivamo un ristorante in Sardegna, a Porto Pozzo, e un bar cyber caffè a Lissone. Era il 1993, un’epoca in cui stavamo sperimentando nuovi concetti, soprattutto legati all’arte e alla tecnologia. Il nostro locale a Lissone, l’Open Art Café, era un punto di incontro per artisti emergenti, con mostre mensili e eventi culturali. Dopo nove anni, però, ho sentito il bisogno di cambiare aria e sono partito per un viaggio di sei mesi in India e Sri Lanka. Al mio ritorno, ho deciso di fondare l’associazione culturale Grasch, con cui ho iniziato a realizzare eventi e, piano piano, il catering è diventato la mia attività principale.
In che modo l’arte ha influenzato il tuo approccio al catering?
Tornato dall’India ho creato l’associazione culturale Grasch che proponeva eventi culturali in questo ambiente che avevo arredato in stile shabby chic indiano. Nei primi anni, organizzavamo eventi che abbinavano esperienze artistiche a cene tematiche: una volta abbiamo ospitato una dimostrazione di danze irlandesi accompagnate da una cena tipica irlandese o mostre fotografiche con menù abbinati. Questa combinazione tra arte e cibo ha fatto crescere rapidamente il nostro catering. Inoltre, grazie ai contatti con artisti e galleristi, ho avuto l’opportunità di lavorare con diverse gallerie d’arte in Lombardia, rafforzando il legame tra le due sfere.
Ma la tua attività ha anche una forte vocazione sociale?
Circa sette anni fa, tornando da un evento al lago con i ragazzi del catering, ci siamo ritrovati con una grande quantità di cibo avanzato. Mentre ci dirigevamo verso Milano, passando per Corso Europa, abbiamo incontrato molti senzatetto. Abbiamo deciso di fermarci e distribuire il cibo avanzato, inclusi i 16 chili di torta avanzati. La risposta è stata incredibile: in mezz’ora il cibo era finito. Da quel giorno, abbiamo deciso di ripetere l’iniziativa una volta alla settimana donando all’associazione il cibo in eccesso perché sia portato a chi ne ha bisogno. A volte lo facciamo una seconda volta in altre zone di Milano, come la Stazione Centrale.
Com’è cambiato il progetto durante la pandemia?
Durante la pandemia, molti dei ragazzi che lavoravano con me hanno cambiato lavoro, e sono rimasto da solo a gestire il catering. In quel periodo, ho collaborato con scuole come la Steineriana, alla quale forniamo cibi fatti con verdure di stagione e grande attenzione alla varietà del menù che viene particolarmente apprezzato dalla scuola, dalle famiglie e anche dai bambini.
Nel frattempo abbiamo mantenuto la consegna di cibo all’associazione per la distribuzione alle persone in difficoltà e ho anche coinvolto mio figlio in queste attività. È stato un modo per insegnargli il valore della solidarietà e del rispetto per il cibo.
Qual è l’impatto ambientale delle vostre attività e come cercate di ridurre gli sprechi?
Da quando facciamo catering, abbiamo ridotto del 50% la produzione di rifiuti organici. Questo significa meno sacchetti, meno viaggi per lo smaltimento e meno inquinamento. È un impegno importante, ma ne vale la pena. Oltre a questo, abbiamo introdotto l’idea del picnic solidale: la prima domenica del mese, organizziamo un pranzo all’aperto in Piazza Affari, dove le persone portano il loro cibo da condividere. È un momento di comunità e anche un’opportunità per distribuire vestiti ai senzatetto. Perché negli anni la missione dell’associazione si è ampliata anche alla raccolta di vestiti per i senzatetto: organizzo aperitivi mentre ci occupiamo della divisione dei capi, che poi l’associazione dona ai senzatetto.
Come riesci a coinvolgere i volontari e le loro famiglie in queste iniziative?
Coinvolgere i volontari è stato naturale. Molti sono arrivati da soli, ma nel tempo hanno iniziato a portare anche i loro figli, il che ha reso il tutto ancora più speciale. Ogni settimana il gruppo cambia: c’è chi porta cibo, chi aiuta a preparare i kit di vestiti, e così via. È una rete molto eterogenea, ma questo la rende ancora più forte. Vedere i bambini e gli adolescenti partecipare attivamente è fantastico: è un’esperienza educativa che va oltre il semplice donare.
Quali sono i progetti futuri per il catering Grasch?
Stiamo lavorando per espandere ulteriormente la nostra attività, sia in termini di sede che di progetti. Continuiamo a crescere, e non escludiamo la possibilità di aggiungere nuovi servizi o sedi. Allo stesso tempo, manteniamo forte il legame con la solidarietà: l’associazione culturale che ho fondato è ancora attiva, e tramite essa continuiamo a distribuire cibo ai senzatetto.

Il mio percorso è iniziato in modo un po’ diverso dal tradizionale. Avevo una società con altre persone e gestivamo un ristorante in Sardegna, a Porto Pozzo, e un bar cyber caffè a Lissone. Era il 1993, un’epoca in cui stavamo sperimentando nuovi concetti, soprattutto legati all’arte e alla tecnologia. Il nostro locale a Lissone, l’Open Art Café, era un punto di incontro per artisti emergenti, con mostre mensili e eventi culturali. Dopo nove anni, però, ho sentito il bisogno di cambiare aria e sono partito per un viaggio di sei mesi in India e Sri Lanka. Al mio ritorno, ho deciso di fondare l’associazione culturale Grasch, con cui ho iniziato a realizzare eventi e, piano piano, il catering è diventato la mia attività principale.
Tornato dall’India ho creato l’associazione culturale Grasch che proponeva eventi culturali in questo ambiente che avevo arredato in stile shabby chic indiano. Nei primi anni, organizzavamo eventi che abbinavano esperienze artistiche a cene tematiche: una volta abbiamo ospitato una dimostrazione di danze irlandesi accompagnate da una cena tipica irlandese o mostre fotografiche con menù abbinati. Questa combinazione tra arte e cibo ha fatto crescere rapidamente il nostro catering. Inoltre, grazie ai contatti con artisti e galleristi, ho avuto l’opportunità di lavorare con diverse gallerie d’arte in Lombardia, rafforzando il legame tra le due sfere.
Durante la pandemia, molti dei ragazzi che lavoravano con me hanno cambiato lavoro, e sono rimasto da solo a gestire il catering. In quel periodo, ho collaborato con scuole come la Steineriana, alla quale forniamo cibi fatti con verdure di stagione e grande attenzione alla varietà del menù che viene particolarmente apprezzato dalla scuola, dalle famiglie e anche dai bambini.
Coinvolgere i volontari è stato naturale. Molti sono arrivati da soli, ma nel tempo hanno iniziato a portare anche i loro figli, il che ha reso il tutto ancora più speciale. Ogni settimana il gruppo cambia: c’è chi porta cibo, chi aiuta a preparare i kit di vestiti, e così via. È una rete molto eterogenea, ma questo la rende ancora più forte. Vedere i bambini e gli adolescenti partecipare attivamente è fantastico: è un’esperienza educativa che va oltre il semplice donare.